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Dall’idea al progetto


MARCO PORTA
Quando Elio Carmi, proponendomi di pensare alla realizzazione di una chanukkiah, mi spiegò la storia della festa delle Luci fui particolarmente colpito, da una parte, dall’aspetto innaturale e miracolistico dell’evento, dall’altra, da quello peculiarmente simbolico. Mi chiesi se fosse più rilevante il fatto che l’olio si moltiplicasse in quantità e diventasse soddisfacente al bisogno o piuttosto che la fiamma si mantenesse sé stessa, una, l’originale, la primigenia, la pura e come tale si trasmettesse e si tramandasse. Scelsi di rimarcare ed evidenziare questo secondo aspetto. La fiammella di ogni giornata doveva essere il più possibile simile alla fiamma iniziale, non solamente trarre origine da quella, ma “essere” quella. Non era un luogo della memoria bensì un luogo dell’essenza. Nacque così l’idea di usare lo specchio; il posto della memoria tra gli specchi non sussiste, non si può immaginare nulla privo di memoria quanto uno specchio. La fiamma non era simile, era quella del primo giorno. Restava in ogni caso fondamentale il fatto che occorresse quotidianamente iterare un gesto, rinnovare una presenza, un credo. Ogni giorno deve nascere una nuova fiamma: l’antica fiamma. Ho disposto gli otto specchi su un ramo di paraboloide in grado di venire ruotati, uno ogni giorno. La fiamma del primo giorno viene posta nel fuoco geometrico del paraboloide e, grazie alle proprietà geometriche di questa figura, le sue immagini, riflesse dagli specchi, si allineano sul piano visivo. Giorno dopo giorno, ruotando un nuovo specchio si crea l’immagine di una nuova fiamma: la vecchia fiamma.