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Dall’idea al progetto


PAUL RENNER
Questa chanukkiah è il risultato di un lungo processo di creazione artistica che, come tutta la mia esperienza, intende l’arte come percezione sintetica, travalica i confini tra pittura, scultura, musica e letteratura fondendo l’arte visiva con l’arte culinaria. Ho pensato che tradizionalmente la lampada sta sulla tavola, è accesa mentre si mangia e quindi è in qualche modo collegata al cibo.
Il cibo, che coinvolge tutti i cinque sensi: la vista, l’udito, il tatto, l’olfatto e il gusto. Al tempo stesso ho approfondito l’astrazione del significato, passando dalla lampada-oggetto alla lampada fonte-di-luce che rimanda simbolicamente a una dimensione di spiritualità. Queste due riflessioni mi hanno colpito: sono stato colto da una sensazione indefinita, ma molto forte di déjà vu: avevo visto qualcosa, qualcosa che mi sembrava potesse rappresentare la chiave di volta per il mio progetto cibo- luce-lampada. Per due anni ho cercato nella mia biblioteca, tra i miei quasi diecimila libri, ma senza successo. Solo molto tempo dopo sono riuscito a ricostruire quello che nella mia mente era indefinito: in un grande supermercato nel quartiere cinese di Parigi, ho trovato casualmente una confezione di otto aringhe secche. Immediatamente ho ricollegato: quella forma l’avevo vista per la prima volta nella mostra “Manger en Chine” all’Alimentarium, il museo dell’alimentazione della Fondazione Nestlé di Vevey, in Svizzera. A quel punto tutto è stato facile. I pesci sarebbero diventati i bracci del lume. Ma che rapporto c’è tra Cina, cibo e chanukkiah? La risposta sta nel concetto di coincidentia oppositorum che sempre mi affascina: il pesce è cibo, ma è anche acqua, umidità, mettere il fuoco (la candela) sull’acqua vuol dire muoversi sul terreno del paradosso e cercare quindi di dare forma alla complessità dei simboli. Nel 2006 ho presentato l’opera da Leo Koenig a New York, per la mostra “Hardcore diner”. Ma era senza base. Quella base, che ho trovato solo l’anno scorso, è un osso della coscia di un animale. L’osso che è simbolo del sacrificio, e questo mi ha permesso di approfondire il percorso cibo-acqua-fuoco-sacrificio. Con in più un valore interreligioso. Senza contare il calembour e l’assonanza tra kosher e coscia. Solo per la mostra di Casale e per il Museo dei Lumi l’opera è stata completata.